di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)
C’è qualcosa di più profondo, quasi liturgico, nel rientro a Venezia di due capolavori di Vittore Carpaccio – Le Due Dame del Museo Correr e Caccia in Laguna dal Getty di Los Angeles – oggi riuniti nella stessa sala. Non è soltanto un evento museale, né un gesto di diplomazia culturale. È un atto di riparazione simbolica.
Questi due pannelli nati per stare insieme e separati da oltre un secolo tornano a dialogare, e nel farlo raccontano molto più dell’arte veneziana del Quattrocento: ci parlano della politica della memoria, di come le immagini possano diventare frammenti di identità spezzata, e di come la loro riunione sia – in fondo – un gesto politico.
In tempi in cui i musei occidentali vengono chiamati a rispondere delle loro collezioni e delle loro spoliazioni, questa mostra non riguarda solo Carpaccio: riguarda noi, e il nostro modo di trattare il passato. Il ritorno delle Due Dame accanto alla Caccia è anche un monito sulla fragilità delle narrazioni artistiche: quando si spezza un dittico, si spezza un codice di senso.
E quel codice, in Carpaccio, non è mai neutro. Nelle sue scene sospese tra quotidiano e fantastico, tra reale e simbolico, si insinua sempre un discorso più profondo: la società veneziana del tempo, con le sue gerarchie, le sue paure e le sue ambizioni, tradotte in pittura come allegorie cifrate. Le Due Dame non sono solo due nobildonne che aspettano: sono la metafora dell’attesa politica di una città che scruta il proprio destino.
La riunificazione di oggi, allora, non è solo la restituzione di due tavole: è un rito di riconciliazione tra passato e presente, tra diaspora e identità, tra immagine e significato. E nel silenzio di quella sala veneziana, Carpaccio sembra dirci che l’arte non dimentica: aspetta solo di essere ricomposta.









