di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)
Ritornare su Pellizza da Volpedo significa giocare con il fuoco. “Il Quarto Stato” è icona troppo nota: facile celebrarlo, difficilissimo ri-vederlo. La mostra milanese ambisce a questo: far sentire il rumore della bottega sotto l’immagine-simbolo, ripercorrendo disegni, studi, varianti, opere sorelle che mostrano come quell’avanzata non sia un colpo di genio ma una costruzione morale durata anni.
Il punto non è l’eroismo della folla; è l’equilibrio tra etica della forma e forma dell’etica. La composizione non spinge, trattiene: la massa non travolge, avanza a tempo; la luce non esalta, unifica. Pellizza lavora come un ingegnere morale: definisce rapporti, allinea sguardi, governa i vuoti, calibra l’orizzonte. L’eroismo non nasce dal gesto pittorico ma dal metodo — e vedendo studi e cartoni il visitatore capisce che il “Quarto Stato” è prima di tutto un dispositivo di misura.
Rileggere oggi quell’avanzata significa misurarsi con un’Italia dove il lavoro è frammentato, dove le piazze si riempiono a strattoni e dove la politica spesso consuma simboli senza metabolizzarli. Eppure il “Quarto Stato” non predica: ordina la visione. L’ordine compositivo è il messaggio: la comunità si fa storia quando rinuncia all’improvvisazione. È una lezione scomoda nell’epoca della protesta performativa, dei cinque minuti di gloria social.
Lo spettatore attento noterà dettagli che la riproduzione livella: il ritmo dei piedi, che sono la barra metronomica del quadro; la cadenza delle ombre, che rallenta la corsa del colore; la temperatura della luce, che non è a effetto ma a durata. Tutto questo è politico: fa della pazienza la virtù rivoluzionaria.
La mostra guadagna quando integra opere che non sono manifesti ma officine: ritratti, paesaggi, studi dove Pellizza scava nella carne della luce. Lì il divisionismo non è stile, è tecnica morale: frammentare per ricomporre, misurare per condividere. Dal punto di vista del connoisseur, è fondamentale controllare stratigrafie, vernicette storiche, restauri novecenteschi che possono aver “addolcito” il grano cromatico; un eccesso di pulitura uccide l’effetto di tempo che l’artista ha costruito con pazienza.
Il contrappunto più intelligente della mostra è quando il “Quarto Stato” dialoga con immagini del presente: non collage propagandistici, ma confronti di dialettica visiva. Dove oggi vediamo il lavoro? In logistiche, piattaforme, servizi invisibili. Quale sarebbe oggi l’orizzonte del quadro? Forse un capannone, un data-center. Non c’è nostalgia: c’è verifica.
Per il mercato, la mostra ricorda che Pellizza non è solo il Quarto Stato. Studi, carte, oli di qualità con provenienze solide hanno una tenuta che va oltre le oscillazioni contingenti. La qualità “minore” è un’invenzione del mercato pigro: qui, la qualità vive nei passaggi di mano, nelle foto d’epoca, nelle note di studio. Una perizia degna di nome non guarda la firma: ascolta il metodo.
Per valutazioni, perizie ed expertise su Pellizza da Volpedo e ambiti divisionisti (carte, studi, tele con varianti compositive, provenienze storiche): WhatsApp 3314125138 – email lucasforziniarte@libero.it









