Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

I fratelli Galliari: scenografia prospettica, quadrature e l’invenzione dell’illusione civile nel Settecento

di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)

Nel Settecento italiano l’arte non abita solo le pale d’altare o i cicli di palazzo: abita il teatro. La famiglia Galliari – con i fratelli Bernardino, Fabrizio, Giovanni e una costellazione di parenti e allievi – costruisce un alfabeto scenografico che educa l’occhio alla cittadinanza della prospettiva. Le loro quadrature, le scene dipinte, i bozzetti prospettici sono molto più di illusioni: sono città ideali praticabili dal pubblico.

Scena come città, città come scena

La scena galliariana non è fondale: è architettura temporanea. Colonne, archi, scalinate, vedute di città e capricci si aprono come macchine ottiche; il pubblico impara a leggere lo spazio. In un secolo che ragiona di riforme e razionalità, la prospettiva scenica è politica della visibilità: mette ordine, misura distanze, propone civiltà del vedere. È urbanistica provvisoria ma morale: ci insegna a stare insieme nello spazio.

Tecniche di illusione: dal cartone al sipario

  • Cartoni e modelli: disegno a gessetto e inchiostro; misure annotate; griglie prospettiche.

  • Coloritura: tempere e colle su tele leggere o carte incollate; gamme operative (terre, azzurri freddi per lontananze, rossi caldi per prossimità).

  • Quadrature: in chiese e palazzi, finte architetture che prolungano lo spazio reale; sottosquadri e “tagli di luce” per simulare rilievi.

  • Luci: progettate per attivare il dipinto; l’ombra scenica completa l’illusione pittorica.

Poetica dell’illusione onesta

A differenza dei trompe-l’œil compiaciuti, i Galliari si assumono una responsabilità: la scena confessa di essere pittura e chiede complicità allo spettatore. Proprio questa onestà genera meraviglia civile: l’illusione non inganna, educa.

Quadrature sacre e profane

Nelle chiese, le volte si aprono al cielo con architetture dipinte che amplificano la liturgia; nei teatri, le città ideali alzano la posta dell’azione drammatica. Stesso metodo, fini diversi: trascendenza e civiltà condividono una grammatica ottica. È un’idea grandiosa del Settecento: l’arte come meccanica della visione al servizio della comunità.

Perché contano oggi

La loro lezione torna utile quando le città diventano palcoscenici turistici: i Galliari insegnano a costruire visioni condivise, non a truccare. La differenza è sottile e decisiva: un’illusione che espande il reale contro un trucco che lo sostituisce.

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