Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

El Greco: fuoco bizantino, Venezia nella mano, Toledo nell’anima. Teologia della luce e anatomia dell’estasi

di Luca Sforzini, esperto d’Arte e proprietario del Castello di Castellar Ponzano (https://www.valutazione-quadri.it/)

Di Doménikos Theotokópoulos, detto El Greco, si abusa di un aggettivo: “allungato”. In realtà ciò che si allunga, nei suoi dipinti, non è il corpo: è il tempo dello spirito. Nato a Creta nella tradizione post-bizantina dell’icona, formatosi a Venezia (Tiziano, Tintoretto) e passato per Roma, El Greco approda a Toledo dove fonde tre fuochi: ascesi iconica, colore veneziano e dramma castigliano. Il risultato è un linguaggio irriducibile che non descrive la fede: la accade in pittura.

Tre matrici, un’unica fiamma

  • Creta: la regola dell’icona. L’uovo della tempera, l’oro, la frontalità: una teologia dell’immagine che chiede alle forme non di imitare ma di presenziare. L’icona non appartiene allo spazio, lo istituisce.

  • Venezia: il colore come respiro. Tiziano insegna la carne cromatica, Tintoretto la composizione dinamica; El Greco impara che la luce può essere pigmento, non solo meteorologia.

  • Roma: la sfida del manierismo. Prospettive avventurose, corpi torsivi, intelligenza del citare; ma il cretese resta eretico: rifiuta la misura accademica, preferisce l’eccedenza come verità.

Anatomia dell’estasi

L’allungamento non è manierismo gratuito: è trasporto. Corpi verticali come fiamme, mani a lancia, volti consumati da un’attenzione extra-umana. Gli spazi si comprimono, gli orizzonti si inclinano, le nubi si sfibrano in trame di luce verdazzurra o piombo. La carne perde peso specifico e si fa luce; le vesti, piegate da spigoli taglienti, sono campi di energia. Nel Seppellimento del Conte di Orgaz, la giustapposizione tra il registro terreno (ritratto ferocemente realistico) e quello celeste (teatro di corpi accesi) è la chiave: nessuna mediazione—la grazia “cade” sull’umano senza preparativi retorici.

Regola e ardore: la luce come dottrina

El Greco non “illumina”. Combustiona. Il bianco di piombo diventa fervore; il blu di smalto—che nei secoli tende a virare—nel suo tempo è fuoco freddo; i verdi di rame danno alle ombre un calore acido; i rossi carminio velati pulsano. Strati sottili, scumbles, velature rapide, colpi di pennello filiformi che accendono i bordi (mani, barbe, occhi). La luce non descrive il volume: lo trasfigura. È teologia: chi guarda non riconosce, riconosce-se.

Iconologia della soglia

Le sue grandi tele sono liturgie. Espolio: Cristo avvolto da un rosso quasi improprio, compresso da soldati, mentre la folla invade illegalmente la scena sacra: scandalo voluto, teologicamente fondato (Cristo “spogliato” al centro della storia umana). Apertura del quinto sigillo: il nudo angelico che consegna vesti ai martiri, in quello spazio scardinato, è una riflessione sull’attesa: il tempo si strappa, ma non si compie. Veduta di Toledo: paesaggio non meteorologico; stato d’animo escatologico. La città è città dell’anima.

El Greco e la Controriforma: obbedienza e attrito

Dopo il Concilio di Trento, l’arte sacra deve essere chiara, devota, decorosa. El Greco accetta la chiarezza dottrinale (le iconografie sono intellegibili), ma spinge il decoro fino all’eccesso mistico. L’Espolio fu contestato per la presenza di figure “aggiunte” e per il rosso di Cristo; le sue Madonne e i suoi santi, pur ortodossi, hanno un’intensità inquietante. Non illustra la fede; la provoca. Toledo capisce che questo “greco” non è straniero: porta alla Spagna una contemplazione disciplinata e febbrile che è, in sostanza, ascetismo barocco ante litteram.

Il problema dello spazio

Le prospettive “sbagliate” non sono errori: sono scelte. El Greco costruisce spazi relazionali dove le distanze fisiche valgono meno delle prossimità spirituali. La compressione delle figure non disturba: concentra. Gli angoli impossibili obbligano l’occhio a salire, come in una chiesa quando l’architettura ti porta al cielo senza chiederti il permesso.

Confronti: perché è fuori classifica

Con i manieristi condivide ardire e libertà, ma manca l’edonismo; con i veneti condivide la carne del colore, ma abbandona la sensualità; con i mistici spagnoli condivide l’ardore, ma rifiuta ogni moralismo illustrativo. La sua modernità è evidente: Espressionismo, Visionarismo, persino certe astrazioni luministiche del Novecento trovano in lui un antenato scomodo.

Perché ci riguarda oggi

In un tempo che pretende realismo e chiede all’immagine di “confermare” il visibile, El Greco impone il contrario: l’immagine cambia il visibile. Non ci accompagna: ci trafigge. La sua è un’estetica della trasfigurazione che restituisce alla pittura la cosa che spesso dimentichiamo: la capacità di produrre presenza.

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