Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

SIMBOLI, SCANDALI E ERESIE CULINARIE: L’ULTIMA CENA TRA TEOLOGIA E PITTURA

Nel panorama dell’arte sacra, poche immagini hanno attraversato i secoli con la potenza simbolica e narrativa dell’Ultima Cena. Questa scena, apparentemente un semplice convivio tra maestro e discepoli , si rivela in realtà un insieme di significati teologici, rituali e antropologici. Da un lato, essa si radica nei racconti evangelici, custodendo temi centrali come l’istituzione dell’Eucaristia, il gesto benedicente di Cristo, e il dramma sotterraneo del tradimento di Giuda. Dall’altro, richiama con forza l’immaginario della cena conviviale nell’antichità: l’assetto della tavola, la varietà delle pietanze, le stoviglie, i gesti domestici, tutto contribuisce a un racconto visivo che mescola sacro e quotidiano.

Il momento culminante di questa iconografia si cristallizza nella celeberrima interpretazione di Leonardo da Vinci, che nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano consegna al mondo un’immagine definitiva e potentemente drammatica del convito finale di Gesù. Ma il percorso che conduce a questa sintesi è disseminato di invenzioni, di scelte audaci e a volte persino di piccole eresie visive.

Fin dai primi secoli, e con maggior insistenza a partire dal VI, emerge un nodo iconografico delicato: come rendere riconoscibile Giuda, il traditore? Gli artisti medievali e rinascimentali elaborano una serie di codici visivi che si fanno via via più convenzionali. Giuda è quasi sempre raffigurato senza aureola, oppure con una aureola nera ; spesso ha i capelli rossi, colore ambiguo, segno di infamia e abiti gialli, tonalità simbolicamente associata all’inganno e alla corruzione. In certi casi si distingue anche per l’uso della mano sinistra (segno di disordine), oppure per la presenza furtiva della sacca con i trenta denari. Talvolta, in un eccesso di rigore simbolico, egli viene escluso del tutto dal gruppo, lasciando la compagnia apostolica ridotta a undici.

L’individuazione del traditore si carica poi di drammaticità attraverso il gesto: o è Cristo stesso a porgergli un boccone – gesto tratto dal Vangelo di Giovanni – oppure è Giuda a compiere un movimento improvviso, lanciandosi sulle vivande con eccessiva foga. Alcuni autori lo ritraggono persino mentre ruba un pesce dal desco, accentuando così la sua avidità e bassezza morale.

Ma è sul piano della rappresentazione conviviale che la pittura medievale e tardo-gotica osa ancora di più, sconfinando talvolta nel bizzarro o nell’apertamente provocatorio. Gli affreschi raffiguranti l’Ultima Cena con la presenza di gamberi, risalenti ai secoli XIII, XIV e XV, si trovano in diverse chiese dell’arco alpino centro-orientale. Sappiamo che il Levitico proibisce la consumazione di questi animali. Una prima spiegazione, apparentemente semplice è che la tavola raffigurata riproduceva ciò che era comunemente disponibile nei luoghi in cui l’opera venne realizzata. A guardarli bene, quei gamberi ricordavano anche animali velenosi, simili a scorpioni — bestie cariche di significato negativo, spesso associate agli ebrei, cui si attribuivano ancora responsabilità per la morte di Cristo. Piu’ prosaicamente gli autori volevano solo rappresentare una scena di vita comune, una tavola quotidiana, senza allegorie complesse. I gamberi erano presenti nei fiumi di quelle valli e quindi, presenti anche sulle tavole del popolo.

In certi casi, la trasgressione si fa quasi teatrale. Nella Bibbia miniata dell’abbazia di Floreffe, un autore anonimo introduce non uno, ma due Cristi: il primo offre il boccone a Giuda, mentre il secondo – in un’ellissi temporale ardita – lava i piedi a San Pietro. Una sovrapposizione di momenti narrativi che sfida ogni cronologia. Nel 1437, Giovanni di Francia spinge oltre il confine dell’iconografia canonica: nella chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano a Castello Tesino, i committenti dell’opera vengono ritratti seduti alla tavola di Cristo, fianco a fianco con gli apostoli. Gli invitati diventano così quattordici, e l’Ultima Cena si trasforma in un ritratto nobiliare celato sotto le spoglie del sacro.

Queste rappresentazioni, con le loro anomalie e licenze, rivelano quanto la pittura religiosa medievale e rinascimentale fosse meno rigida di quanto si creda. Lungi dall’essere mera illustrazione dei testi sacri, essa era anche spazio di invenzione, di sfida ai limiti, di riflessione (anche ironica) sul rapporto tra uomo e divino.

(a cura di Tania Perfetti)

 

FONTI:

– Pietà e dissenso religioso nelle Ultime Cene (in Civis, suppl. 16, 2004) Claudio Comel.

– Trasgressioni e le anomalie nei dipinti dell’Ultima cena prima di Leonardo Da Vinci testo Salvatore Santuccio.

IMMAGINI:

Immagine IN EVIDENZA

A sinistra, due Cristi nella stessa immagine: uno imbocca Giuda, l’altro lava i piedi ad un apostolo (San Pietro). Anonimo, Ultima cena, Bibbia abbazia di Floreffe. 1170.

A destra in alto, Ultima Cena di scuola giottesca nel Santuario dei Santi Vittore e Corona ad Anzù (Feltre – Belluno).

A destra in basso, Verona, Basilica di San Zeno, affresco Ultima Cena.

Immagine 1

A destra in alto, Giuda rosso di capelli nasconde un pesce rubato sotto il tavolo. Particolare di K.Soest, Ultima cena, 1403, St. Nicholas Church, Wildungen.

A destra in basso, i due finanziatori dell’affresco ritratti nell’ultima cena di Giovanni di Francia, 1437, Chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano a Castello Tesino.

A sinistra, “Ultima Cena”, iniziale “C” istoriata (particolare), ritaglio proveniente da un Graduale fiorentino, ms. M.653, no. 4 (II.25), fra il 1392 e il 1399, Pierpont Morgan Library, Department of Medieval and Renaissance Manuscripts, New York.

Immagine 2

In basso, Ultima Cena dei Baschenis, chiesa di Santo Stefano – Carisolo.

In alto a destra, particolare dell’Ultima Cena dei Baschenis, chiesa di Santo Stefano – Carisolo.

In alto a sinistra, Santuario dei SS. Vittore e Corona.

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