La vicenda di Ilaria Salis — insegnante ed attivista italiana arrestata in Ungheria per aver materialmente aggredito manifestanti di estrema destra — ha acceso un dibattito che supera la cronaca. Il piano politico di candidarla alle elezioni europee, puntando sull’immunità parlamentare quale strumento di salvezza, rappresenta un potenziale precedente d’una gravità istituzionale rara.
Al di là del contesto, l’Unione Europea ha regole chiare: il Protocollo sui privilegi e le immunità stabilisce infatti che un europarlamentare non può essere arrestato né sottoposto a procedimenti penali — tranne che in flagranza — mentre esercita il mandato . Fin qui, tutto regolare. Il problema sorge quando si realizza che tali norme, nate per proteggere l’indipendenza dei rappresentanti, vengono ridefinite come strumenti per sottrarsi a procedimenti giudiziari indipendenti.
Chi difende l’idea rivendica che Salis sarebbe vittima d’un sistema giudiziario autoritario — quello ungherese —, e la candidatura servirebbe a garantirle “un processo equo e la libertà di esercitare il mandato” . Ma se davvero ogni aspirante eurodeputato potesse sottrarsi a indagini o arresti, l’immunità rischierebbe di diventare una valuta politica su cui costruire “scudi elettorali”.
Questa operazione ha suscitato anche forti critiche online. Un utente su Reddit ha commentato:
“usare l’immunità di europarlamentare per liberarla ha danneggiato la democrazia… candidare una persona non per meriti, non per competenze… è un insulto alla politica.”
Una voce che sintetizza il disagio di molti: un sistema che dovrebbe garantire la funzione politica si trasforma in un mezzo per interrompere un processo, potenzialmente prima ancora che una condanna sia fondata.
I sostenitori rispondono che senza questo stratagemma Salis sarebbe rimasta in carcere per oltre 15 mesi — un’occasione politica mancata per l’Italia e per l’Europa . Ma la domanda resta: eticamente c’è una differenza sostanziale tra un intervento politico mirato a liberare una persona e l’uso dell’immunità per impedire il corso della giustizia, qualsiasi essa sia?
E non basta: l’Ungheria ha già chiesto la revoca dell’immunità, e il Parlamento europeo ha aperto una procedura formale . Questo scenario dimostra che, se l’immunità è una barriera — protettiva o difensiva — può anche trasformarsi in un campo di battaglia politico-legale, dove a essere in gioco non è solo il destino di un individuo, ma la credibilità delle istituzioni continentali.
In conclusione, la “salvezza via immunità” non può essere banalizzata. Se vogliamo evitare che simili mosse diventino strategia elettorale, dobbiamo chiedere con forza che l’UE chiarisca: l’immunità serve davvero a proteggere la democrazia, o rischia di servire poteri individuali, ideologici o politicamente funzionali? Perché quel che è in gioco è la coerenza tra le istituzioni e i valori su cui l’Unione si fonda: legalità, equilibrio dei poteri e consapevolezza politica. E su questo terreno l’operazione Salis rappresenta, se non una farsa, senz’altro un monito.