Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Democrazia, Partitocrazia, Kletheriocrazia: proposta utopica per una nuova governance della Società futura

All’origine delle civiltà le tribù sceglievano il capo tra gli uomini più saggi o più forti, preferibilmente tra quelli dotati di entrambe le qualità. Le donne (tranne in alcune popolazioni) non avevano diritto di partecipare alla scelta, almeno non in via ufficiale. A quei tempi la popolazione terrestre era di poche decine di milioni di individui (nell’Età del Bronzo, circa 3300-1200 a.C., circa 50 milioni) quindi tutti conoscevano tutti nell’ambito tribale locale. Quando il capo tribù, come leader militare di un ristretto numero di persone non riusciva più a garantire la sicurezza, prosperità e stabilità a lungo termine del suo popolo, la necessità di un governo più centralizzato e forte si traduceva nella transizione da governi tribali ad autorità superiori che rappresentassero un insieme coalizzato di comunità affini.

Questo passaggio poteva avvenire in seguito a crisi di varia natura, oppure come conseguenza di volontà di unità o desiderio di ottenere maggiore stabilità della società. Il passaggio da capo tribù a re comportava la necessità di legittimare il nuovo potere su scala e con presupposti diversi: questo poteva avvenire in base a meriti in guerra, manifeste qualità di leadership, o manifestazione diretta della volontà popolare, come per l’elezione di Saul, primo re d’Israele, o la nomina dei primi re in Mesopotamia da parte delle assemblee delle città-stato. Spesso, le monarchie diventavano poi ereditarie, basate sulla successione familiare e su un supposto “diritto divino”. A volte il sovrano era affiancato da assemblee (di cittadini o “nobili”) con funzioni di consultazione o indirizzo.

In altre civiltà, si svilupparono democrazie di natura assembleare, in cui il potere decisionale era nelle mani dell’assemblea popolare, cui tutti i cittadini maschi potevano partecipare e votare. Il classico esempio è la democrazia ateniese, dove l’assemblea votava direttamente leggi e altri provvedimenti, senza intermediazione di rappresentanti eletti. La democrazia ateniese era caratterizzata da una forte partecipazione dei cittadini (da non confondersi coi residenti della Città): tutti coloro che soddisfacevano i criteri potevano partecipare all’assemblea, parlarvi e votare. Va però considerato che la popolazione di Atene nel V secolo a.C. era stimata in circa 200.000-300.000 persone, inclusi schiavi, stranieri (meticci) e donne, che non avevano diritti politici. Quindi, di fatto, un’élite di cittadini (probabilmente un decimo del totale, o meno) controllava la vita politica, mentre la maggior parte della popolazione non aveva prerogative in tal senso, per censo, sesso, o età. Questa situazione di ripeteva nella Roma repubblicana, nella Repubblica di Venezia e in altre situazioni storiche.

L’assemblea tuttavia non era l’unico organo decisionale a Atene: il Consiglio dei Cinquecento (Bule), era composto da 500 cittadini scelti a sorte tra circa 6000 aventi i necessari requisiti, con il compito di preparare proposte legislative e gestire le finanze dello Stato. Molti altri incarichi pubblici, come quello di giudici e membri della giuria, erano assegnati a sorte, non per elezione. La pratica di sorteggio era chiamata kletheria, da Kleroterion, uno strumento “randomizzatore” utilizzato a questo scopo.

Coerentemente con il presupposto di fornire lo sviluppo della massima competenza possibile, l’uso del sorteggio era considerato il mezzo più democratico di attribuzione delle cariche pubbliche: l’elezione, infatti, avrebbe favorito aristocratici e ricchi (in grado di “farsi pubblicità”), persone note (oggi diremo “influencer”), o particolarmente dotate di eloquenza (affabulatori o “showmen”). Il sorteggio infatti permetteva a chiunque di essere coinvolto nell’esperienza democratica: “governare ed essere governati”. Esso aveva il vantaggio evitare possibili brogli elettorali, nonché di ridurre i rischi insiti nel processo elettorale relativi a corruzione, concussione ed altri fenomeni demagogici, specialmente con riferimento ai funzionari che detenevano rilevanti funzioni finanziarie.

In questo modo, tuttavia, l’assegnazione di incarichi di responsabilità a soggetti incompetenti era un rischio evidente, conosciuto anche dagli Ateniesi (non evitato né evitabile nemmeno dalle moderne forme democratiche, come recentemente dimostratosi) che introdussero precisi filtri a tal scopo: un elettorato passivo limitato in base a stretti criteri di età, cittadinanza, aver prestato servizio militare, e –per taluni incarichi- solidità finanziaria, cui si aggiungevano un esame iniziale e finale dell’operato del sorteggiato, un sistema collegiale con uno staff di supporto che garantiva il controllo reciproco tra singoli funzionari e, infine, il controllo dell’assemblea. Inoltre, nessuna persona poteva essere sorteggiata due volte per il medesimo ufficio, al fine di evitare che potesse accumulare eccessive cariche e quindi eccessivo potere. Una eccezione consisteva nel sorteggio per la Bule in cui, per necessità demografica, era ammesso ricoprire l’incarico di consigliere al massimo due volte nell’arco della propria vita. In ogni caso i sorteggiati, prima di assumere la carica, erano soggetti ad un approfondito esame da parte della Bule stessa, a seguito del quale avrebbero potuto essere squalificati se non giudicati idonei. L’unico ufficio pubblico per il quale era richiesta una specifica esperienza era quello dei (dieci) strateghi, eletti annualmente, le cui funzioni fondamentali erano il comando dell’esercito e della flotta, la cui importanza e prestigio derivavano non tanto dai poteri attribuiti, quanto dalla fiducia accordata loro dall’assemblea.

Erano elettivi solo circa un decimo dei funzionari, in particolare quelli preposti ad incarichi di natura economica ed alla strategia, i quali però dovevano possedere una sufficiente ricchezza personale come prerequisito all’elezione in modo che, in caso di malversazione, i fondi potessero essere recuperati dalla confisca dei loro patrimoni privati.

L’ethos della democrazia ateniese era la costruzione di una competenza generale derivante dal continuo coinvolgimento dei cittadini: bisogna ricordare che, nel corso delle sessioni dell’Assemblea, i cittadini potevano richiedere inchieste, mettere sotto osservazione o rimuovere, anche con sanzioni, i detentori e gestori di uffici pubblici.

Tali forme di “democrazia” diretta persistettero in epoca medievale in alcuni stati europei, come l’assemblea Alþingi, istituita in Islanda nel 930 d.C., e il Landsgemeinde, l’assemblea a democrazia diretta e voto palese dei cittadini dei cantoni svizzeri, che permane in alcune forme fino ai giorni nostri. Da notare che l’odierna Svizzera è un paese fortemente nazionalistico con 9 milioni di abitanti, di cui meno di 2/3 cittadini Svizzeri e il Landesgemeinde è molto più utilizzato nei cantoni e nelle comunità minori.

Anche nella Repubblica di Venezia, come in altre città-stato dell’Italia Alto Medievale, veniva usato il sorteggio: si usava infatti mettere i nomi dei cittadini qualificati in un’urna, e estrarli alla cieca, introducendo un elemento di casualità e di rotazione nella scelta dei detentori delle cariche impedendo che pochi cittadini, noti per meriti personali o per origini familiari, fossero i soli destinatari di cariche pubbliche. Il sistema impediva altresì campagne elettorali che potevano esasperare rivalità tra fazioni. Questo permise a Venezia di prosperare come “superpotenza” del tempo per molti secoli, mentre altri Stati (ad es. Genova) andavano in rovina. A Venezia veniva eletto un consiglio di grandi dimensioni, poi ridotto tramite sorteggio, e questo processo si ripeteva iterativamente più volte, dando l’opportunità alle famiglie dominanti di esercitare la loro influenza in modo paritario, riducendo la possibilità della presa del potere da parte di una sola.

Durante l’Illuminismo Montesquieu, nel suo “Lo spirito delle leggi”, sosteneva che il sorteggio fosse la via naturale per la democrazia, come le elezioni lo sono per l’aristocrazia, e che dovevano esserci alcuni meccanismi per garantire che il gruppo originario di selezione fosse competente e non corrotto. Rousseau, da parte sua, sosteneva che un modello misto di sorteggio ed elezione poteva offrire un percorso più sano per la democrazia rispetto all’uno o all’altro, e Harrington trovò più convincente il modello veneziano, raccomandandolo per la sua “repubblica ideale” di Oceania.

Nonostante la “democrazia ateniese” sia spesso citata, a sproposito, come modello delle democrazie odierne, la degenerazione della democrazia ha portato all’attuale forma di governo della “partitocrazia”, regime politico in cui il potere e la vita politica dello Stato stesso ruotano attorno ai partiti, i quali si appropriano, occupandoli, degli organi Costituzionalmente previsti e assumono il controllo di tutti i settori dell’apparato pubblico (sanità, istruzione, amministrazione, giustizia), di cui fanno spesso utilizzo per la raccolta clientelare del consenso, e talvolta (?) come mezzo di arricchimento personale.

Ciò costituisce una grave degenerazione del regime democratico, introducendo difetti nel corretto funzionamento del pluralismo politico, indipendentemente dalla partecipazione pro-tempore al governo o all’opposizione, per il solo fatto di disporre di una rappresentanza parlamentare i cui rappresentanti vengono “selezionati” per cooptazione dai militanti più fedeli (più raramente dall’esterno, e solo verso soggetti di grande impatto mediatico, o verso soggetti solo apparentemente indipendenti ma di provate simpatie), controllati con minaccia di non ricandidatura in caso di comportamento difforme alle direttive di partito (la rappresentatività parlamentare o in assemblee minori, come noto, comporta vantaggi economici personali non indifferenti, specialmente per quelle persone che prima di “entrare in politica” non avevano “né arte nè parte”, come si suol dire). Il risultato è che, spesso, la possibilità per un cittadino di candidarsi a una carica pubblica al di fuori di un partito “mainstream” è fortemente limitata anche dalle regole imposte per la presentazione delle liste elettorali, ad es. la raccolta di “firme” necessarie, che solo macchine ben organizzate sono in grado di reperire (e in cui talvolta falliscono pure). Sono infatti pochi gli esempi recenti di aspiranti leader in grado di formare dal nulla nuovi partiti che sono riusciti a battere la macchina demo-burocratica: per ultimo il modello “grillino” che, forse ispirandosi al concetto ateniese di “uno vale uno” ma senza gli indispensabili filtri, ha prodotto una esperienza fallimentare sia in termini di effetti politici che di scelta della nuova classe dirigente. Questa infatti, una volta assaporato il gusto del “potere”, ha messo in atto ogni accorgimento per rimanere “col cul* incollato alla poltrona” (come si suol dire), rimangiandosi vergognosamente qualsiasi proclama e solenne promessa iniziali.

Il principale problema della selezione dei rappresentanti è infatti la definizione del gruppo di candidabili. Nel sistema partitocratico la selezione è fatta all’interno dei partiti (segreterie) in base a criteri quasi mai trasparenti che vanno dalla fedeltà al capo all’appartenenza a gruppi di potere interni, e che spesso prevedono ripartizioni tra correnti. In un sistema di sorteggio, data la bassa probabilità di essere “estratti” e la permanenza limitata nei posti del potere, sarebbe più facile imporre criteri più stretti e condivisi sulla inclusione di individui nell’insieme iniziale da cui selezionare i sorteggiati.

L’unica soluzione possibile per risollevare le sorti delle democrazie moderne sarebbe il ritorno alla kletheria ateniese: un sistema di sorteggio basato sulla definizione di diritti passivi e doveri attivi, con sorteggiabilità dipendente da appropriati filtri, applicabile a ogni livello amministrativo. I moderni strumenti informatici e l’Intelligenza Artificiale potrebbero egregiamente sostituire il Kleroterion ateniese, dato l’elevato numero di potenziali sorteggiabili. In alternativa, un sistema di sorteggio “quasi random” tipo estrazione del SuperEnalotto potrebbe essere facilmente implementato. Tra i filtri sui diritti passivi di sorteggiabilità potrebbero rientrare: possesso della cittadinanza, assenza di condanne penali, educazione, limiti di età, pagamento dei tributi. A questi si aggiungerebbero la verifica dei requisiti morali e attitudinali post-sorteggio (se squalificato/a, con esclusione permanente dai diritti passivi).

Contrariamente al caso ateniese, non dovrebbero esserci deroghe dall’esclusione dallo stesso ruolo dopo il primo mandato (la numerosità della popolazione al giorno d’oggi non è certo un fattore limitante), che potrebbe durare più anni, ma verrebbero mantenuti gli esami iniziale e finale dell’operato, con possibilità di rivalsa sui beni personali. I sorteggiati riceverebbero come compenso una somma equa (potrebbe essere ad esempio pari al reddito medio personale degli ultimi 10 anni, più il rimborso delle spese vive documentate sostenute nel corso del mandato), con la possibilità di una buonuscita finale in funzione del superamento delle verifiche finali e dei risultati complessivi risultanti dal mandato (ad es. andamento del PIL, progresso nello sviluppo, miglioramento sociale e dei servizi, ecc.), ma con responsabilità economica personale e dei famigliari diretti nel caso di malversazioni (dovere attivo di buona condotta). Questo dovrebbe essere sufficiente a scoraggiare quegli individui che oggi considerano la res publica come fonte di arricchimento, predazione, e potere personale.

Che ruolo avrebbero i partiti in tutto questo? Essenzialmente identico, per quanto riguarda gli ideali propugnati. La Costituzione Italiana infatti stabilisce (Articolo 49): “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, quindi il ruolo assegnatogli dalla Costituzione non cambierebbe: oggigiorno i cittadini italiani hanno il diritto di associarsi liberamente in varie forme tra cui circoli, associazioni e club, a scopo legale (il che esclude verosimilmente Mafia, ‘Ndrangheta, e simili, e alcune Logge Massoniche deviate). Come io sono membro del Rotary Club (del quale pago la quota di iscrizione e per il quale raccolgo fondi da destinare a iniziative sociali) un iscritto a un partito qualsiasi avrebbe esattamente gli stessi diritti, senza però che il partito riceva sussidi dallo Stato. Partiti, associazioni e club potrebbero richiedere di essere pubblicamente sentiti dalle Assemblee e dai funzionari, direttamente o mediante dossier tematici, su particolari iniziative per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (come da dettato Costituzionale). Certo, non disporrebbero più di rimborsi elettorali (non più necessari) e altre sovvenzioni statali, prebende ai membri del Parlamento, e non potrebbero più imporre i loro “fiduciari” nelle amministrazioni ed enti pubblici (il tutto con grande vantaggio, diretto ma soprattutto indiretto, per i conti pubblici). In compenso riterrebbero il diritto di perorare le loro cause di fronte al potere legislativo. Temo, purtroppo, che venendo a mancare gli attuali incentivi economici, ben pochi altruisti disinteressati manterrebbero la loro tessera e continuerebbero a svolgere attività politica.

Andrea Capodaglio

Nota: alcune informazioni storiche sono state dedotte da fonti web (inclusa Wikipedia) considerate attendibili dall’autore. Eventuali imprecisioni sono attribuibili allo stesso.

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