Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Sesso (quasi) legale: lo Stato batte cassa, ma chi batte resta senza diritti

Dal 1º aprile 2025, in Italia è stato introdotto un nuovo codice ATECO, il 96.99.92, intitolato “Servizi di incontro ed eventi simili”. Questo codice include attività quali l’organizzazione di eventi di incontro, agenzie matrimoniali e, in via indiretta, anche prestazioni legate alla sessualità, come i servizi di escort e l’accompagnamento.

L’obiettivo è fornire una classificazione più precisa a realtà economiche finora inquadrate in modo vago e generico. L’iniziativa, promossa dall’Istat e finalizzata a una maggiore armonizzazione con le classificazioni europee, consente l’apertura di partite IVA anche per lavoratori del sesso autonomi che operano legalmente.

Tuttavia, questa misura solleva interrogativi importanti. Da un lato, rappresenta un progresso verso una maggiore trasparenza e inclusione fiscale. Dall’altro, rischia di essere un riconoscimento solo parziale e, per certi versi, ipocrita. Lo Stato chiede tributi a queste lavoratrici e lavoratori, ma continua a non riconoscerli come soggetti titolari di diritti lavorativi, previdenziali e di sicurezza sul lavoro.

In Italia, la prostituzione non è reato se esercitata in forma autonoma, ma la Legge Merlin del 1958 vieta le case di tolleranza e punisce lo sfruttamento e il favoreggiamento. Questo crea una zona grigia: chi esercita legalmente è formalmente libero, ma di fatto privo di strumenti per tutelarsi, ad esempio in caso di malattia, aggressione o abuso.

La nuova classificazione ATECO sembra ignorare questa complessità. Si inquadra il lavoro sessuale come attività economica, ma senza affrontare la questione dei diritti. Si introduce un codice fiscale, ma non una dignità professionale. E questo paradosso è stato ben evidenziato anche da voci del settore, come Nicole De Leo, ex presidente del Mit, che ha sottolineato come si stia cercando di “fare cassa” senza garantire tutele.

Il tema merita quindi un dibattito più ampio, meno ideologico e più pragmatico. Occorre distinguere tra il contrasto allo sfruttamento criminale e il riconoscimento di chi sceglie liberamente questa professione. Un vero passo avanti non sarà l’assegnazione di un codice ATECO, ma l’adozione di una normativa che riconosca il sex work come lavoro, con diritti e doveri come qualsiasi altra attività economica.

Solo allora si potrà parlare di un sistema giusto, coerente e rispettoso della libertà individuale e della legalità.

Yuri Lissandrin

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