Analizzare la situazione politica della Romania non è semplice, soprattutto considerando la sua storia recente. Dalla fine della Seconda guerra mondiale fino al 1989, il Paese è stato sotto il regime comunista di Nicolae Ceaușescu, noto per la sua dittatura repressiva, la censura della libertà di espressione e le politiche economiche disastrose. L’inflazione e la carestia portarono la Romania sull’orlo della povertà assoluta, fino alla rivoluzione che pose fine a quel regime oppressivo.
Questo passato ancora vivo influenza profondamente il popolo rumeno, alimentando paure e diffidenze nei confronti di possibili ritorni a regimi autoritari o di influenze esterne sulla politica nazionale. In questo contesto si inseriscono le ultime elezioni politiche, caratterizzate da tensioni, accuse di ingerenza e la controversa esclusione di un candidato dalla competizione elettorale.
La Romania è un membro strategico della NATO e riveste un ruolo chiave nel contesto geopolitico attuale. Non sorprende quindi che le sue elezioni siano oggetto di particolare attenzione sia da parte delle potenze occidentali sia da parte della Russia. Le tensioni internazionali e i sospetti di interferenze straniere hanno contribuito a creare un clima di incertezza e diffidenza.
Molti cittadini rumeni residenti in Italia, intervistati sull’argomento, hanno espresso una profonda sfiducia nei confronti della classe politica del loro Paese. Alla domanda su cosa si aspettano dalle elezioni, la risposta è stata unanime: un leader capace di guidare e risanare la Romania, sfruttandone le enormi potenzialità economiche e strategiche.
Alcuni di loro guardano con ammirazione alla politica di Donald Trump, soprattutto per il suo approccio alla sovranità nazionale e alla politica economica. Tuttavia, la frammentazione dei partiti e la mancanza di una leadership forte rendono difficile individuare un unico candidato in grado di incarnare il cambiamento.
Un aspetto particolarmente critico delle ultime elezioni è stata la vicenda di Călin Georgescu, candidato di destra arrivato al ballottaggio ma fortemente contestato dalla magistratura e dalla politica internazionale per una presunta interferenza sul voto. Il termine “presunta” viene spesso utilizzato in modo strumentale per delegittimare determinati candidati o per condizionare l’opinione pubblica.
Non si può negare che i social media, le interviste e le trasmissioni televisive abbiano un forte impatto sulle scelte degli elettori, influenzando inevitabilmente il processo democratico. Tuttavia, l’esclusione di un candidato sulla base di accuse non pienamente dimostrate rappresenta un precedente pericoloso per la democrazia. Se si permette che la magistratura o gli organi sovranazionali intervengano in modo diretto sulle competizioni elettorali, si rischia di alterare il principio fondamentale della sovranità popolare.
Oggi più che mai, l’informazione è un’arma potente in grado di plasmare la percezione della realtà. Chi detiene il controllo dei media e delle piattaforme digitali ha il potere di orientare l’opinione pubblica, spesso impedendo l’emergere di voci scomode o non allineate con la narrazione dominante.
L’esclusione di Georgescu potrebbe essere vista come un esempio di questa dinamica: se un candidato non è gradito a determinati ambienti di potere, il rischio di essere delegittimato o rimosso dalla competizione elettorale diventa reale. Questo scenario non riguarda solo la Romania, ma minaccia l’intero equilibrio democratico europeo.
Le recenti elezioni in Romania hanno evidenziato una fragilità democratica che non può essere ignorata. L’esclusione di un candidato sulla base di accuse non completamente verificate rappresenta un precedente preoccupante, che potrebbe essere utilizzato in futuro per giustificare altre ingerenze politiche.
Se si vuole davvero difendere la democrazia, bisogna garantire che il processo elettorale rimanga equo e trasparente, senza condizionamenti esterni o manipolazioni, ma la libertà di scelta degli elettori deve essere comunque rispettata in ogni contesto, senza limitazioni imposte dall’alto. Solo così si può evitare il rischio di scivolare verso una nuova forma di autoritarismo, mascherato da tutela della democrazia.
Pasqualino Mormile