Castello Sforzini

di Castellar Ponzano

Enzo Carella: il genio fragile che Battisti oscurò

C’è una malinconia sottile nel pensare a Enzo Carella, un nome che suona come un sussurro tra le pieghe della musica italiana, un artista che ha brillato troppo forte e troppo presto per essere visto davvero. Nato a Roma nel 1952, Enzo era un’anima delicata, un sognatore con la chitarra in mano e un cuore che batteva al ritmo di melodie funk e pop visionarie. Ma la sua storia è anche quella di un’ingiustizia silenziosa, di un talento schiacciato dall’ombra di un gigante: Lucio Battisti. Perché sì, Battisti lo copiò, lo ammirò, ne prese ispirazione, eppure finì per rubargli la luce, lasciandolo svanire nel dimenticatoio mentre il suo nome saliva nell’Olimpo della musica.

Tutto inizia negli anni ’70, quando Enzo, un ragazzo di Centocelle con la passione per Hendrix e i Beatles, incontra Pasquale Panella, poeta surreale e paroliere geniale. Insieme creano un’alchimia rara: testi criptici, sensuali, quasi assurdi, sposati a melodie che danzano tra il pop e il funk, un sound che sembra arrivare da un futuro lontano. Il primo album, Vocazione (1977), è un gioiello grezzo: “Fosse vero” e “Malamore” colpiscono l’orecchio e l’anima, con quella voce ipnotica, fragile ma magnetica, che ti avvolge come un sogno a occhi aperti. Poi arriva Barbara e altri Carella (1979), con il secondo posto a Sanremo e un successo che sembra promettere tutto. Ma il destino, si sa, non sempre mantiene le promesse.

Lucio Battisti, il re della musica italiana, ascolta Enzo e resta folgorato. “È l’unico che mi piace in Italia”, avrebbe detto di lui dopo aver sentito Malamore. E non si limita ad ammirarlo: prende ciò che Enzo ha creato e lo fa suo. Negli anni ’80, dopo la fine del sodalizio con Mogol, Battisti si rivolge proprio a Panella, lo stesso Panella che con Carella aveva rivoluzionato il pop italiano. Nascono i “dischi bianchi” – Don Giovanni, L’apparenza, La sposa occidentale – capolavori che segnano una svolta, un Battisti nuovo, sperimentale, enigmatico. Ma quel suono, quelle atmosfere, quei testi che giocano con le parole come poesie dadaiste, non vi ricordano qualcosa? Non vi sembrano un’eco di ciò che Enzo aveva già fatto, anni prima, con meno riflettori e più cuore?

La differenza sta nel destino. Battisti, con la sua fama già consolidata, trasforma l’eredità di Carella in un trionfo glorificato. I critici osannano la sua “reinvenzione”, i fan si dividono ma poi lo consacrano mito. E Enzo? Enzo sparisce. Dopo Sfinge (1981), un altro album di rara bellezza prodotto da Elio D’Anna degli Osanna, il silenzio lo inghiotte. La RCA lo abbandona, il pubblico lo dimentica, e lui si ritira, ferito da un’industria che non ha saputo vedere la sua grandezza. Torna solo nel 1995 con Se non cantassi sarei nessuno, un concept sull’Odissea scritto ancora con Panella, ma è un sussurro in un mondo che non ascolta più.

C’è qualcosa di straziante in questo contrasto. Enzo era un pioniere, un alieno gentile che aveva anticipato il futuro del pop italiano, influenzando non solo Battisti ma anche generazioni successive, da Luca Carboni ai Tiromancino. Eppure, mentre Battisti saliva tra gli dèi, Carella cadeva nell’oblio, un artista troppo fragile, troppo avanti, troppo puro per un mercato che premia i giganti e dimentica i poeti. Quando morì nel 2017, a 65 anni, per un arresto cardiaco, il mondo della musica lo pianse sottovoce, come se si fosse accorto troppo tardi di ciò che aveva perso.

Pensateci: senza Enzo, senza quel suo modo di fondere melodia e assurdo, forse non avremmo avuto il Battisti degli anni ’80. Panella era il ponte, ma Carella era la sorgente. Lucio prese quel fuoco e lo fece divampare, ma Enzo lo aveva acceso per primo, in una cantina romana, con una chitarra e un sogno. Oggi, mentre Battisti resta un mito intoccabile, Enzo è un ricordo per pochi, un culto per chi sa cercare oltre la superficie. È una storia che fa male al cuore, quella di un genio che ha dato tutto e ha ricevuto così poco, oscurato da chi ha saputo prendere e vincere. Ma ascoltate Malamore, chiudete gli occhi, e sentirete la verità: Enzo Carella era un tesoro, e meritava di brillare.

SEBA Barbagallo

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